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Here the third part of Ghostmare. The sequel is coming (soon?) …
Ecco la terza parte di Ghostmare. Il seguito è in arrivo (presto?) …
Here the second pill of GHOSTMARE. The sequel is coming soon…
Qui sotto la seconda pillola di GHOSTMARE. Il seguito arriverà presto…
Here the first pill of GHOSTMARE: an horror serial TV available only on this blog. The sequel is coming soon…
Qui sotto la prima pillola di GHOSTMARE: un serial TV horror, disponibile solo su questo blog. Il seguito arriverà presto…
This is a BAUHAUS – based horror movie.
Un articolo sul rapporto tra tecnologia e fiducia nelle immagini.
In italiano.
Here the video of the trip through Palestine that we did with “Sport under the Siege” project (april, 2008).
I recorded the video, Francesca took the shots.
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Italian version.
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English version.
A beautiful concert.
Due anni fa.
Foto mie e di Francesca.
Il mercato arabo di Gerusalemme è un dedalo di cunicoli afosi, stipato di persone, profumi, parole e mercanzie, in cui ognuno si guadagna da vivere come può: c’è chi aspetta i turisti per spennarli, c’è chi vende quello che gli capita, c’è chi aspetta fumando un narghilé che arrivi il cliente giusto per contrattare il prezzo migliore. C’è chi, come questo bambino nella foto, vende focacce con il suo carretto. Il suq freme di vita, brulicante e confusionaria.
Giocano in strada, ti tirano per la maglia, ti prendono in giro. Corrono, tra i vicoli stretti del quartiere arabo, e ti inseguono. Appaiono e scompaiono tra i vicoli in cui sono nati e cresciuti: sono i bimbi del quartiere arabo di Gerusalemme, nella parte antica della città.
Riuscire ad entrarci è difficile, ci sono code lunghissime e controlli estenuanti dei militari israeliani, che spesso chiudono l’area all’accesso. Dentro ci sono solo arabi: uomini, donne, e soprattutto bambini. È un luogo di preghiera, molto sentito dai palestinesi (è proprio dal massacro di Al Aqsa che prende il nome il gruppo armato di Fatah), ma i musulmani lo vivono in modo molto creativo: ci sono bimbi che giocano a pallone, uomini e donne che passeggiano, leggono e chiacchierano.
In realtà, nella zona di Gerusalemme e dintorni è abbastanza raro vederle così coperte. La maggior parte di loro porta l’hijab, il fazzoletto che copre solo nuca, capelli e orecchie, lasciando il viso scoperto. Alcune invece non portano nulla sul capo: un modo per ribellarsi a quella loro cultura in tanti modi opprimente verso le donne. D’altronde l’islam non impone (in questa zona) il burqa o il velo, ma sono le famiglie (o il contesto sociale e culturale nel quale sono inserite) a farlo.
Due anni fa.
Le foto sono mie e di Francesca.
Due anni fa. Gerusalemme.
Le foto sono mie e di Francesca.
E’ il giorno della Pasqua ortodossa, e il S. Sepolcro è pieno di pellegrini di tutte le declinazioni del cristianesimo. Tra i fedeli spiccano i religiosi ortodossi, con i loro vestiti lunghi e la loro faccia assorta, come se non sentissero nemmeno il frastuono che li circonda.
Gerusalemme (o almeno la sua parte antica, rinchiusa tra le vecchie mura) vibra di processioni, in cui regna un’atmosfera sovrannaturale. Due bambine vestite con lunghi abiti bianchi spargono petali di fiori da cesti di vimini, e la folla si dirada ai lati dello stretto vicolo. Mentre un pope dirige i lavori, quattro portantini risalgono le scale scivolose con sulle spalle una struttura sacra intarsiata di fiori, e la folla di fedeli li segue in silenzio.
Gli stretti vicoli della città vecchia esplodono di storie da raccontare, ma i loro simboli spesso appaiono incomprensibili. Come le tappe della via crucis di Cristo, che appaiono e scompaiono nel labirinto di vicoli. Ma, se si riesce a trovare una spiegazione della intricata toponomastica di Gerusalemme, non sempre si riesce a fare altrettanto con le persone che popolano queste vie. Per esempio (come si vede nella destra della foto della V tappa della via Crucis), alcune persone fanno la fila per toccare una pietra incastonata nel muro. E questa cos’è, chiediamo ai signori davanti a noi. Qui è passato Cristo, e si è appoggiato su questa pietra, ci rispondono, e i pellegrini fanno la fila per toccarla.
Questi video sono due spezzoni tratti dalla restituzione di una ricerca per OssCom (Università Cattolica di Milano), sull’uso del cellulare e chat da parte dei giovani italiani (15-25 anni). Nello specifico, in questa ricerca mi sono occupato (insieme a un collega, Daniele) della parte di sociologia visuale: ho chiesto ai ragazzi (attraverso uno storyboard) di fornirmi materiale video-fotografico sulla loro esperienza quotidiana con i due devices sotto indagine, utilizzandolo come stimolo nelle interviste. Con lo stesso materiale, ho partecipato alla costruzione di un “saggio visuale”, di cui propongo di seguito due parti, che ho montato con iMovie. Gli aspetti sui quali abbiamo lavorato per valorizzare ed ancorare i significati del saggio visuale sono:
– accostamento delle immagini,
– modificazione delle immagini con Photoshop,
– rapporto tra immagini, musica e audio originale dei video,
– inserzione di testi scritti e didascalie.
Utilizzando come un’opportunità (e non come un ostacolo) l’intrinseca carica emozionale, polisemica, non-direttiva del linguaggio iconico, abbiamo sviluppato un discorso per nuclei tematici, esplicitandone la struttura in una brochure che si lega al video come paratesto e guida alla “lettura” del saggio visuale.
Presenteremo più estesamente questo lavoro (discutendone gli aspetti metodologici) al convegno ECREA a Barcellona, nell’ottobre 2008.
Here 2 chapters of a video-essay, from the restitution of a research on the use of mobile phones and chat by young italian people (15-25 year old). Within this research I developed (together with a collegue, Daniele) the field research based on visual methodologies: I asked the young boys to give me some visual material (through a storyboard I gave them) on their daily experience with the communication devices. I not only used the visual material for interviews with photo-elicitation, but I also tried to test the video-essay as a tool for the restitution of a social research. The main aspects we stressed in order to ground the meanings of the visual essay are:
– Images approaching.
– Editing photos by Photoshop.
– Relations among images, music, original audio sources of videos.
– Insertion of text and captions.
We developed a discourse in thematic nucleus by making explicit its structure in a brochure along with the video as both a para-text and a guide to the “reading” of the visual essay. To this purpose, we have used the emotional inherent potential of a not binding, polysemous iconic language as a chance, and not as a hurdle. Anyway, we’re going to present this work (stressing methodological aspects) on the ECREA conference in Barcelona (october 2008).
e ti dirò chi sei.
Il cibo dice molto su chi siamo, su quello che stiamo vivendo, e sul nostro modo di vedere le cose. Mangio così, perchè sono italiano. Mangio queste cose quando sono da solo, e a volte mi diverto a preparare da mangiare. Mangio queste cose quando sono in montagna, in Trentino, a fare i miei ritiri spirituali di studio e scrittura.
Food tells a lot about who we are, what we’re living, and on our way of life. Am italian, so that’s what I eat. This is the food I eat when am alone, and sometimes I enjoy myself cooking. I photographed this food last year, during my “spiritual retreats” (of studying and writing) in Trentino mountains.
San Precario appearing in Milan.
Apparizione di San Precario a Milano.
A beautiful concert
Live in Venice, one of my favourite artists